Fine vita
La questione del “fine vita” è sempre attuale.
Anche la notizia recente della morte, in contemporanea o quasi in contemporanea, delle Gemelle Kessler, che pare abbiano fatto ricorso al suicidio assistito – in base alla normativa tedesca-, ha riportato all’attenzione il problema.
Per quanto concerne l’Ordinamento Italiano, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 242/2019, ha dichiarato l’art. 580 c.p.(Istigazione o aiuto al suicidio) parzialmente illegittimo laddove non escludeva la punibilità per chi avesse agevolato il suicidio di una persona affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che la medesima trovasse assolutamente intollerabili, qualora la persona malata fosse tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma restasse capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
Nelle situazioni di patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che per la persona colpita siano assolutamente intollerabili, solitamente viene praticata la sedazione profonda.
La legge n. 219/ 2017 in materia di consenso informato e di d.a.t. (Disposizioni anticipate di trattamento) riconosce alla persona capace di agire il diritto di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento sanitario- anche di sostegno vitale- e la facoltà di chiedere la sedazione profonda continua.
Nel caso alla base della sentenza della Corte Costituzionale la persona malata non aveva voluto ricorrere alla sedazione profonda, che comporta la perdita graduale della coscienza, ritenendola lesiva della propria dignità. Lo stesso art. 32 della Costituzione, al comma 2, sancisce il diritto della persona di rifiutare trattamenti sanitari, anche se salva vita e la legge sul consenso informato ha disciplinato la somministrazione dei trattamenti sanitari nel rispetto della libertà di autodeterminazione dell’individuo malato.
Con Ordinanza n. 207/2018 la Corte, nella procedura sfociata nella sopra menzionata sentenza, aveva disposto un lungo rinvio per permettere al legislatore di intervenire, disciplinando la materia rispetto alle nuove esigenze ed istanze. Non essendo intervenuto il legislatore, la Corte si è poi pronunciata.
La non punibilità, individuata entro i limiti tracciati dalla Corte, nell’ agevolazione al suicidio richiede che, a monte, ci sia una manifestazione di consenso libero ed informato, acquisita ai sensi della Legge n. 217/2019. La struttura interessata al caso, tramite il comitato etico territorialmente competente, deve verificare la correttezza della manifestazione del consenso, tutelando le situazioni di particolare vulnerabilità, e concordare le modalità dell’intervento, nel rispetto della dignità del malato ed evitandogli sofferenze.
Permane il diritto, per i sanitari, all’obiezione di coscienza.
Con la successiva sentenza n. 135/2024, la Corte, ha confermato i requisiti per il suicidio assistito di cui alla precedente sentenza del 2019, solo ampliando la definizione di sostegno vitale. Ha, infatti, incluso in esso le attività di supporto quotidiano ad opera dei familiari o di altri che si occupano del malato (es. aspirazione del muco), se l’interruzione di tali pratiche comporterebbe a breve la morte del malato. La sentenza n.135, inoltre, ha equiparato la posizione dei malati sottoposti a trattamenti di sostegno vitale a quella dei malati che necessitano di tali trattamenti per sopravvivere, pur non essendo ancora sottoposti ad essi o pur rifiutandoli.
Con la successiva sentenza n. 132/2025, a fronte di questione di illegittimità costituzionale dell’art. 579 c.p. (omicidio del consenziente) sollevata dal Tribunale di Firenze, la Corte ha concluso per l’inammissibilità. Il Tribunale di Firenze ha ravvisato violazione dell’art. 3 Cost. per irragionevole disparità di trattamento che verrebbe a prodursi tra malato che è in grado di procedere all’autosomministrazione della sostanza letale e malato che non è in grado di autosomministrarsela, per le limitazioni provocate dalla malattia, e ha necessità dell’ausilio di un terzo.
La Corte ha dichiarato inammissibili le questioni a causa dell’inadeguata e non conclusiva motivazione del giudice rimettente (Tribunale di Firenze) il quale si è limitato a constatare le ricerche di mercato effettuate dall’ente locale, ma non ha stimolato una ricerca ed un’istruttoria più accurata, anche a livello nazionale (es. Istituto Superiore della Sanità).
Non essendo, dunque, stata sufficientemente accertata l’effettiva assenza di strumentazione idonea all’autosomministrazione sussiste una carenza istruttoria che comporta un difetto di motivazione. In termini tecnici la fattispecie è detta “perplessa”.
La Corte, che non si è pronunciata nel merito della costituzionalità dell’art. 579 c.p. riguardo il fine vita, ha concluso che, se con una istruttoria più approfondita fosse reperita una strumentazione idonea all’autosomministrazione, il Servizio sanitario nazionale dovrebbe prontamente acquistarla e fornirla al malato ammesso al suicidio medicalmente assistito.
Lo Stato, dunque, é investito del dovere di reperire tecnologie che permettano di autosomministrarsi il farmaco, accompagnando il malato fino all’ultimo atto della sua esistenza, nel rispetto del diritto all’autodeterminazione. Conoscendo le potenzialità della tecnologia è verosimile che strumentazione idonea, se oggi non è ancora esistente, presto lo sarà.
A seguito della pronuncia della Corte Costituzionale, la Regione Toscana, con legge regionale n. 16/2025 ha disciplinato il suicidio medicalmente assistito sulla base delle indicazioni della Corte medesima. Il Governo ha impugnato tale legge innanzi alla Corte Costituzionale. La Regione Toscana si è costituita.
Due sono le principali obiezioni solitamente mosse al ricorso alle leggi regionali in questa materia:
1) la disciplina del suicidio medicalmente assistito era stata considerata rientrante nella potestà legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, comma 2, lettere l) ed m) della Costituzione.
2) Il rischio di una disciplina disomogenea tra le Regioni, con compromissione del principio di eguaglianza nella garanzia dei diritti fondamentali dei malati sul territorio nazionale. Ciò anche nel caso una o più Regioni non regolino la materia con legge regionale.
Vedremo come si pronuncerà la Corte Costituzionale.
Con riguardo ai Disegni di legge sulla questione del fine vita, ve ne è uno approvato dalle Commissioni giustizia e affari sociali al Senato, criticato -soprattutto dall’opposizione- per aver escluso il SSN, privatizzando l’accesso alla procedura, con esposizione al rischio di discriminazione economica, per aver imposto le cure palliative, per aver ristretto le possibilità di accedere prevedendo, quale requisito, la sottoposizione a trattamenti sostitutivi di funzioni vitali invece dei “sostegni vitali”, concetto più ampio indicato dalla Corte e per aver deputato alla valutazione un comitato di sette membri nominati dal Governo.
Conclusioni
Attualmente, dunque, l’Ordinamento Italiano, in ambito di “fine vita” prevede:
a) Ai sensi della legge n. 219/2017, un malato può rifiutare le terapie o interromperle previa sedazione profonda;
b) In presenza delle condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019 (patologia irreversibile, sofferenza fisica o psichica intollerabile, piena capacità di intendere e volere, mantenimento in vita tramite trattamenti di sostegno vitale), un malato può accedere al suicidio medicalmente assistito.
Detto quanto precede, oltre al diritto all’obiezione di coscienza per i sanitari (già ricordato), permane, in ogni caso, integro il diritto dei malati, pur incurabili, ad essere curati ed assistiti fino alla morte naturale.
Il malato grave, pur in condizioni estreme e, per ciò stesso, vulnerabile, non deve essere condizionato, in contrasto ai suoi radicati convincimenti (non necessariamente religiosi) ad accedere alla procedura di suicidio medicalmente assistito per cause non effettivamente espressione della sua volontà profonda.
La delicatissima valutazione di questi profili dovrà essere svolta con la massima meticolosità e ponderazione.