Esposizione del lavoratore a sostanze tossiche. Le patologie multifattoriali

L’accertamento del rapporto di causalità con riferimento agli eventi lesivi conseguenti all’esposizione a sostanze tossiche pone, innanzitutto, il problema della qualificazione, in senso attivo od omissivo, della condotta del responsabile dell’impresa che gestisce il processo produttivo.

Altro problema si pone, però, nel caso in cui l’evento lesivo sia multifattoriale e, cioè, sia riconducibile a una pluralità di fattori. Si pensi al caso del lavoratore che contragga un tumore al polmone e che sia stato esposto ad amianto nel processo produttivo ma che, nello stesso periodo, sia stato esposto anche ad altri fattori di rischio (per esempio, perché fumatore). In queste ipotesi, infatti, è difficile provare, oltre ogni ragionevole dubbio, che l’evento concreto non si sia verificato per effetto di altro fattore (il fumo, appunto).

Secondo la giurisprudenza, “…nella giurisprudenza di legittimità in materia di patologie multifattoriali la c.d. "regola dell'esclusione" impone che la malattia possa essere attribuita alla causa indiziata solo dopo che sia stato escluso che abbia avuto un ruolo eziologico il fattore alternativo, a condizione che si tratti di fattore in grado di operare in assoluta autonomia, posto che la natura causale di un determinato antecedente non è esclusa dalla esistenza di una concausa (art. 41 c.p.). Non escludono il nesso di causa i fattori interferenti, che spiegano una efficienza sinergica, in corrispondenza dell'insorgenza della malattia e/o della sua ingravescenza, mentre lo escludono i fattori alternativi, ossia quelli in grado di operare in assoluta autonomia. Nel primo caso si parla di incidenza concausale, con applicazione del criterio giuridico dell'equivalenza delle cause previsto dall'art. 41 c.p.; nel secondo caso, il fattore alternativo non può porsi in termini di concausa e trova applicazione la disciplina dettata dall'art. 41, comma 2, c.p. (Sez. 4, n. 44943 del 08/07/2021, Cirielli, in motivazione; Sez. 4, n. 16715 del 14/11/2017, Cirocco, in motivazione; Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, Bordogna, Rv. 270385 - 01; Sez. 4, n. 37762 del 21/06/2013, Battistella, Rv. 257113; Sez. 4, n. 11197 del 21/12/2011, dep. 2012, Chino, Rv. 252153). 9.3. E' vero che nei casi di patologie multifattoriali, per affermare la relazione causale tra esposizione professionale e malattia, la regola di giudizio dell'elevato grado di credibilità razionale introdotta dalla nota sentenza Franzese impone un'approfondita analisi del fatto, che tenga conto dei dati relativi all'entità dell'esposizione al rischio professionale. Ma nel caso concreto il percorso seguito dal giudice di merito, peraltro con riferimento a lavoratori per lungo tempo esposti ad agenti cancerogeni presso la P., era pienamente rispettoso di tale regola e nel ricorso non sono stati evidenziati indici del singolo caso che mettessero in chiaro che la malattia avesse avuto origine esclusivamente da un fattore alternativo (Sez. 4, n. 4489 del 17/10/2012, dep. 2013, Melucci, in motivazione), né che le valutazioni operate nella sentenza si discostassero dal "sapere condiviso" (Cass. penale, sez. IV, 23.09.2022, n. 38029).

Più recentemente, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che “Ai fini della configurazione della responsabilità penale, quindi, è necessario che non rilevi la ricorrenza di un'ipotesi di causalità ex art. 41, comma 2, cod. pen (rectius, la causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento), per cui l'esposizione alle polveri di amianto deve, comunque, aver determinato, pur a fronte di fattori causali preesistenti o concomitanti, una relazione in ordine alla verificazione del successivo evento oncologico. Ciò si conforma, adeguatamente, ai generali principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in materia di patologie multifattoriali, rispetto alle quali necessita l'applicazione della c.d. "regola dell'esclusione", per cui la malattia tumorale può essere attribuita alla causa indiziata solo dopo che sia stato escluso che un fattore alternativo possa avere avuto un ruolo eziologico - sempre che esso abbia operato in assoluta autonomia, posto che la natura causale di un determinato antecedente non è esclusa dall'esistenza di una concausa (art. 41 cod. pen.) -. Non escludono il nesso di causa, pertanto, i fattori interferenti, che spiegano una efficienza sinergica in corrispondenza dell'insorgenza della malattia o della sua ingravescenza, mentre lo escludono i fattori alternativi, e cioè quelli che sono in grado di operare in assoluta autonomia. Nel primo caso si parla di incidenza concausale, con applicazione del criterio giuridico dell'equivalenza delle cause di cui all'art. 41 cod. pen., mentre, nel secondo caso, il fattore alternativo non può porsi in termini di concausa, trovando applicazione la disciplina dettata dall'art. 41, comma 2, cod. pen. (cfr., in questi termini, Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, Bordogna, Rv. 270385-01; Sez. 4, n. 37762 del 21/06/2013, Battistella, Rv. 257113-01)" (Cass. penale, sez. IV, 20.03.2025, n. 11168).

In sostanza, in presenza di patologie multifattoriali, la sussistenza del nesso causale non può essere esclusa sulla sola base di un ragionamento di tipo deduttivo che si limiti a prendere atto della ricorrenza di un fattore causale alternativo di innesco della malattia ma occorre procedere ad una verifica puntuale, da effettuarsi in concreto e in relazione alle peculiarità della singola vicenda: l’imputato va assolto se, all’esito di tale verifica, sorge il ragionevole dubbio che l’evento sia stato causato dal fattore causale alterativo (come, per esempio, il fumo da sigaretta).

Quanto detto vale per la causalità penale.

Per la causalità civile, il ragionamento differisce.

Occorre premettere le differenze tra causalità penale e causalità civile:

1) diverse funzioni dal momento che la responsabilità civile orbita intorno alla figura del danneggiato mentre quella penale si dedica alla figura dell’autore del reato, la cui condotta deve essere sanzionata (Cass. Sez. Unite, 11.01.2008, n. 581); mentre la responsabilità civile ha (principalmente) una funzione risarcitoria, la responsabilità penale ha una funzione sanzionatoria;

2) diversi criteri di imputazione dal momento che “contrariamente alla responsabilità penale, il criterio di imputazione della responsabilità civile non sempre è una condotta colpevole; ciò comporta solo una varietà di tali criteri di imputazione, ma da una parte non elimina la necessità del nesso di causalità di fatto e dall'altra non modifica le regole giuridico-logiche che presiedono all'esistenza del rapporto eziologico” (Cass. Sez. Unite, 11.01.2008, n. 581);

3) regola probatoria e, in particolare, “ciò che muta sostanzialmente tra il processo penale e quello civile è la regola probatoria, in quanto nel primo vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio" (cfr. Cass. Pen. S.U. 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese), mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell'evidenza o "del più probabile che non" (Cass. Sez. Unite, 11.01.2008, n. 581).

La giurisprudenza di legittimità ha avallato la tesi dell’autonomia dell’accertamento civilistico della causalità rispetto a quello più rigoroso del processo penale. Pur accogliendo la nozione di causalità secondo un accertamento probabilistico, i giudici hanno valorizzato le differenze funzionali, strutturali e contenutistiche che caratterizzano il sistema della responsabilità civile dal sistema della responsabilità penale, giungendo a un progressivo ripensamento dei rapporti tra causalità penale e causalità civile e a una configurazione in termini di autonomia.

In particolare, anche in sede civile il criterio della probabilità è di tipo logico ma si tratta di una probabilità meno rigorosa di quella richiesta in campo penale perché non si richiede la certezza assoluta (benché solo processuale) al di là di ogni ragionevole dubbio ma la certezza relativa della sussistenza del nesso causale, secondo la logica del più probabile che non.

In tema di responsabilità civile, diritto al risarcimento dei danni e patologie multifattoriali, la giurisprudenza afferma “Accertata la presenza di uno dei fattori di rischio (nel caso di specie l'esposizione all'amianto), che scientificamente si pongono come idonei antecedenti causali della malattia, prima, e del decesso, poi, va affermata la sussistenza del nesso di causalità tra quel fattore di rischio e la malattia e quindi il decesso, anche eventualmente in termini di concausalità, in presenza di non occasionale esposizione all'agente patogeno, determinate modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, assenza di strumenti di protezione individuale, salvo che sussista altro fattore, estraneo all'attività lavorativa e/o all'ambiente lavorativo, da solo idoneo a determinare la malattia e/o, poi, il decesso” (Cassazione civile sez. III, 05/11/2024, n.28458).

Tra l’altro, in seguito alla responsabilità contrattuale, l’onere della prova (dell’esatto adempimento dell’obbligo di protezione) è a carico del datore di lavoro. In termini, nella pronuncia della Corte di legittimità (Cass., sez. Lav., 24.01.2014, n.1477) si legge “…qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia". (v. da ultimo Cass. 3.8.2012 n. 13956, cfr. Cass. 1-2-2008 n. 2491, Cass. 14- 1-2005 n. 644)”.

Sarà, pertanto, preferibile procedere con l’azione civile a carico del datore di lavoro (piuttosto che con quella penale); il lavoratore, in particolare, potrà agire innanzi al Giudice del Lavoro con la richiesta di condanna del datore di lavoro e il completo rimborso di tutti i danni (in questa sede si fanno valere i principi di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, con riferimento all’obbligo di protezione ex art 2087 c.c.).

 

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