Diseredare un figlio: è possibile?

Nel nostro ordinamento vige il principio fondamentale dell’autonomia testamentaria per cui ciascuno può scrivere il proprio testamento secondo la propria volontà. Per tale motivo, il testamento è liberamente revocabile e modificabile in ogni momento ad opera del testatore e non si può in alcun modo rinunciare a tale facoltà (artt. 587 e 679 c.c.).

La diseredazione è la dichiarazione con cui il testatore manifesta la volontà di escludere totalmente alcuno dei successibili dalla propria successione. L’effetto giuridico che ne consegue è quello di privare l’escluso del suo titolo legale di partecipazione alla vicenda successoria del disponente.

L’ordinamento italiano, a differenza di quanto avviene in altri paesi europei, non dedica alcuna previsione alla diseredazione. La dottrina e la giurisprudenza, nel corso del tempo, si sono dedicate molto a questa tematica poiché, sul piano dell’esclusione di uno dei successibili, si fronteggiano due valori, quello dell’autonomia testamentaria, da un lato, e quello della solidarietà familiare, dall’altro lato (cioè due valori su cui si fonda il diritto di famiglia delle successioni): aderire alla tesi dell’ammissibilità della clausola di diseredazione o, invece, a quella dell’inammissibilità implica la propensione verso l’uno o verso l’altro dei predetti valori in conflitto.

Il più recente orientamento dei giudici di legittimità sul tema propende per la validità della clausola di diseredazione. In termini, si legga la pronuncia della Corte di Cassazione n. 8352/2012 in cui si afferma che “In sostanza, la clausola di diseredazione integra un atto dispositivo delle sostanze del testatore, costituendo espressione di un regolamento di rapporti patrimoniali, che può includersi nel contenuto tipico del testamento: il testatore, sottraendo dal quadro dei successibili ex lege il diseredato e restringendo la successione legittima ai non diseredati, indirizza la concreta destinazione post mortem del proprio patrimonio. Il "disporre" di cui all'art. 587 c.c., comma 1, può dunque includere, non solo una volontà attributiva e una volontà istitutiva, ma anche una volontà ablativa e, più esattamente, destitutiva. Altre volte, d'altronde, il nostro legislatore ha concepito disposizioni di contenuto certamente patrimoniale, che non implicano attribuzioni in senso tecnico e che possono genericamente farsi rientrare nella nozione di "atto dispositivo" del proprio patrimonio ex art. 587 c.c., comma 1, avendo utilizzato il termine "disposizione" nel senso riferito in questa sede (in materia di dispensa da collazione, di assegno divisionale semplice, di onere testamentario, di ripartizione dei debiti ereditari, di disposizione contraria alla costituzione di servitù per destinazione del padre di famiglia, di disposizione a favore dell'anima e di divieti testamentari di divisione).

 

Le varie ipotesi in cui l'attività dispositiva possa manifestarsi sono tutelate dall'ordinamento purchè non contrastino con il limite dell'ordine pubblico: ogni disposizione patrimoniale di ultima volontà, anche se non "attributiva" e anche se non prevista nominatim dalla legge, può dunque costituire un valido contenuto del negozio testamentario, solo se rispondente al requisito di liceità e meritevolezza di tutela, e se rispettosa dei diritti dei legittimari”.

In sostanza, secondo i giudici di legittimità, è valida la clausola del testamento con cui il testatore manifesti la propria volontà di escludere dalla propria successione alcuni dei successibili, seppur nel rispetto dei diritti dei legittimari. Tale principio è stato ribadito ancora di recente (v. Tribunale di Pavia, n. 1335/2021 che richiama la predetta pronuncia della Corte di Cassazione).

In sostanza, il principio della libertà dell’autonomia testamentaria (di cui costituisce esplicazione la clausola di diseredazione), trova un limite nel diritto dei legittimari.

Il legislatore, infatti, tutela i familiari più stretti (cioè, i legittimari) del testatore che hanno diritto a una determinata quota di eredità poiché fanno parte del nucleo familiare tutelato e protetto dalla legge (art 536 ss c.c.). Tale quota di eredità (cd. quota di legittima) spetta sempre ai legittimari, anche laddove il defunto scrivesse un testamento che non rispetti tali quote.

In forza degli artt 536 ss c.c., sono legittimari:

-           il coniuge, anche se separato, salvo il caso dell’addebito della separazione

-           i figli: legittimi, naturali o adottivi. In assenza dei figli subentrano i loro discendenti (v. i nipoti)

-           gli ascendenti: genitori o nonni del defunto, ove non vi siano figli o loro discendenti

La legge garantisce a questi soggetti una cd. quota di legittima sull’eredità che varia in funzione della composizione della famiglia. Il testatore non può escludere totalmente (cioè, diseredare) un legittimario. Le norme a tutela dei legittimari sono inderogabili, non ammettono eccezioni dettate dalla volontà individuale. Conseguentemente, neppure il testamento può andare contro tali principi.

Alla luce di quanto sopra, nel nostro ordinamento non è possibile diseredare un figlio e, cioè, escluderlo totalmente dall’asse ereditario. Non sono rilevanti, al fine di diseredare un figlio, liti, incomprensioni, mancanze, ingratitudine filiale: non sono motivi rilevanti e validi per diseredare la prole.

Il codice civile prevede alcuni casi in cui è possibile escludere taluno dalla successione come indegno (art 463 c.c.): si tratta, però, di casi limite (come il fatto di aver commesso un reato grave contro la vita, l’onore o la libertà della persona della cui successione si tratta, del suo coniuge, di un discendente o ascendente). In ogni caso, l’indegnità a succedere non è automatica: deve essere dichiarata con sentenza costitutiva su domanda del soggetto interessato, essendo solo causa di esclusione dalla successione per cui non può essere rilevata d’ufficio.

A parte i suddetti casi di indegnità, non è possibile escludere dall’asse ereditario un legittimario (per esempio un figlio). Nel caso in cui ciò avvenga, il legittimario estromesso avrebbe una pluralità di vie da percorrere:

-          potrebbe impugnare il testamento in quanto lesivo dei suoi diritti, chiedendo al giudice di ridurre le quote degli altri coeredi per ottenere la sua quota attraverso un’azione di riduzione;

-          potrebbe accordarsi, in via stragiudiziale, con gli altri eredi in modo da ricevere da loro la quota che gli spetterebbe per legge, attraverso la stipulazione di un contratto di reintegrazione della legittima con atto pubblico notarile;

-          potrebbe decidere di non perseguire alcuna delle predette vie, decidendo di rispettare la volontà del de cuius di diseredarlo.

Concludendo, posta la validità, in generale, della clausola di diseredazione e salvi i casi di indegnità ex art 463 c.c., al testatore non è consentito estromettere dalla propria successione un legittimario, quale è il figlio. La clausola di diseredazione può, però, servire a escludere il figlio dalla parte di eredità che il genitore può decidere liberamente a chi lasciare (cd. quota disponibile).

 

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